Domenico Bianchi

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“L’immagine nel suo valore assoluto si pone al di là di ogni dicotomia tra astrazione e figurazione. La libertà immaginativa è fuori dal canone normativo e comunque sfugge ad ogni contrapposizione tra l’astrazione e la figurazione, fra il reale e la sua simulazione”.

Dono di Carlo Traglio. Cera su fiberglass, 1996, cm 164 x 204.

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Nato a Montréal nel 1923, è morto a Saint-Antoine-de-l’Isle-aux-Grues, Canada, nel 2002.

Studia pittura con Henri Bisson e nel 1943 si iscrive all’École du Meuble di Montreal. Tra gli artisti canadesi della sua generazione più riconosciuti a livello internazionale, nel 1945 instaura un legame di profonda amicizia con il suo insegnante Paul-Emile Borduas e diversi artisti canadesi d’avanguardia che fanno parte del gruppo chiamato “Les Automates”, formatosi tra gli anni Quaranta e Cinquanta in Francia e Canada sulla scia dell’Automatismo surrealista, metodo di creazione artistica in cui l’artista sopprime il controllo cosciente sul processo decisionale, consentendo alla mente inconscia di prendere il sopravvento. Da qui deriva quella spontaneità che è alla base del linguaggio lirico-astratto delle prime opere di Riopelle dove colori dai toni violenti vengono spremuti direttamente dai tubetti sulle tele e lavorati successivamente a spatola. Stabilitosi a Parigi nel 1948, partecipa alle esperienze informali del “tachisme”, dove una pittura di stampo astratto viene stesa con ricchi impasti di colore formando macchie di materia che si traducono in una forma paesaggistica dinamica.

Domenico Bianchi

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“In its’ absolute value, the image places itself beyond any dichotomy; between abstraction and representation.” Or even, that “the imaginative freedom is beyond the normative canon and escapes from any kind of juxtaposition between abstraction and figuration, from the real and its simulation.”

Donated by Carlo Traglio. Wax on fiberglass, 1996, 204 x 164 cm.

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Born in Anagni (FR), in 1955. He lives and works in Rome.

Driven by a harmonious and meticulous research into forms and materials, Domenico Bianchi emerged at the beginning of the 1980s, proposing a reflection on painting with an architectural function, and focusing mainly on essential ‘figuration’ reduced to a few modular elements. His images are in fact made up of a sign – a sort of central nucleus generating form, movement, transparency and light – which references infinite hypotheses of imagery. Working on large surfaces, the artist experiments with a particular technique of painting on wax which is engraved, carved or scratched with absolutely minimal strokes, reminiscent of Renaissance inlays.