Vanessa Beecroft

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“Da bambina, in Italia, la cultura divenne parte del paesaggio e immediatamente uno sfondo. Anziché fiori, vedevi una testa di Laurana o un dipinto di Pollaiolo. Si cresceva non notando la differenza tra una ragazza e un ritratto di Piero della Francesca, o un affresco religioso in cui ci si imbatteva lungo la strada per andare a scuola. Le mie ispirazioni sono state i dipinti e le sculture del ‘400 e del ‘600, e l’architettura di tutte le epoche”.

Dono dell’artista. Stampa digitale C-print, 2006-2018, cm 177,8 x 230,8. Fotografia © Matthu Placek.

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Nata a Genova nel 1969, vive e lavora a Los Angeles.

Nelle performance di Vanessa Beecroft il corpo di giovani donne più o meno nude appare come isolato, congelato al di là di un’invisibile barriera, in un mutismo che produce lo strano effetto di far “rimbalzare” lo sguardo di chi osserva se stesso. L’opera qui esposta rappresenta la Beecroft: l’ha realizzata durante un viaggio di ricerca in Sud Sudan nel 2006. Raffigura una Madonna del XX secolo, che nutre figli non suoi. Le sue immagini sono sempre mosse da precise coreografie: prospettiva, punto focale e simmetria sono elementi ossessivi, che si direzionano nello spazio come se fossero all’interno di una scacchiera invisibile. La ricerca artistica della Beecroft è attraversata per intero da un senso di classicità, in particolare dalla tradizione rinascimentale italiana. Diplomata all’Accademia di Brera di Milano nel 1993, dimostra fin da giovanissima una propensione per la costruzione compositiva e la messa in scena di tableau vivant che affrontano tematiche riguardanti la donna, lo sguardo, il desiderio, il corpo femminile e il suo interagire con il mondo volubile della moda, denunciando le relazioni complesse e spinose che queste innescano nella nostra società. “La performance per me è più attitudinale che concettuale, ho la visione di un’immagine e passo alla realizzazione”, ha affermato in un’intervista del 2019.