Edifici

L’allestimento delle opere, insieme al restauro e all’adeguamento funzionale degli edifici, è stato realizzato dallo Studio Ar.Ch.It di Luca Cipelletti, che in questo testo racconta il progetto architettonico e museografico su cui nasce il PART.

edificio di palazzi arte rimini Part

La visione progettuale

Mettere in relazione un contenitore storico e una collezione d’arte contemporanea. Questa è stata la principale sfida progettuale per questo nuovo museo, nato per dialogare con un pubblico vasto e diversificato.

Il Duecentesco Palazzo dell’Arengo e il Trecentesco Palazzo del Podestà, per secoli luogo della funzione pubblica, versavano in uno stato precario a causa di un processo di ‘normalizzazione’ che ne aveva offuscato gli elementi architettonici interni, in evidente contrasto con le aspettative create dai monumentali volumi esterni.

Il primo obiettivo della valorizzazione architettonica è stato quindi ripristinare l’emozionante percezione dei volumi medioevali dei due edifici, evitando falsi storici, per riportare alla luce gli elementi di pregio originali, come la sequenza di capriate palladiane, le grandi polifore, i materiali. Gli interventi di ammodernamento tecnico e impiantistico, le tinteggiature, i materiali delle pavimentazioni e i nuovi serramenti, si sono trasformati così in opportunità per esprimere una sintesi tra contemporaneità linguistico-funzionale e rispondenze storico-culturali.

Le opere destinate a essere accolte negli spazi compongono una collezione prestigiosa, ma per sua natura disomogenea, priva di una prospettiva curatoriale preordinata, se non quella di essere ‘contemporanea’. Un apparente limite che nel progetto museografico è stato interpretato come un’ulteriore opportunità. Evitando la rigidità della ‘scatola nella scatola’ sono state infatti favorite la reversibilità, la percezione dell’architettura e una libera collocazione delle opere, per far sì che siano in dialogo soprattutto con lo spazio, più che tra loro. Un allestimento, che pur attraversato da un filo conduttore, si declina di volta in volta assecondando le situazioni architettoniche nelle quali si colloca.

Dimensione, posizione e materiali sono variabili e adattabili: prendono sempre spunto dalle proporzioni e dal carattere dell’architettura per diventare dispositivi funzionali. Anche in omaggio alla più solida tradizione museografica italiana dei maestri protagonisti della ricostruzione dei musei civici del secondo dopoguerra.

Il progetto architettonico e museografico

Fondante nello sviluppo del progetto è stata la ricognizione del tessuto urbano circostante. Nella stessa piazza si trovano il Teatro Galli, Palazzo Garampi, le Vecchie Pescherie.

Al piano terra, l’inserimento di due funzioni aperte, come biglietteria e caffetteria, risponde alla volontà di rendere accessibile e permeabile l’edificio, così che possa essere fruito liberamente, per diventare parte integrante della vita del centro storico.

Dalla biglietteria parte il percorso museale. Per non alterare gli equilibri dell’edificio storico, negli spazi nei quali era necessario ricreare ambiti chiusi come caffetteria e biglietteria, il nuovo innesto è stato reso chiaro inserendo nello spazio dei setti liberi. Delle grandi quinte intonacate a calce nei toni delle pareti pre-esistenti, che, attraverso bucature generate per detrazione, permettono l’espletamento delle funzioni necessarie.

Il percorso prosegue nelle due sale del Podestà, dedicate interamente alle opere. Per aumentare la superficie espositiva, nelle stanze già decorate a parete, sono stati progettati dei supporti secondo una logica di pieno per vuoto, in relazione alle finestre. I basamenti, come i pavimenti, sono stati realizzati in pietra di San Marino, un materiale locale già presente in numerosi dettagli originali, non più estratto, ma di cui sono stati trovati alcuni blocchi di cava. La pietra è stata posata in modo da sottolineare i rapporti architettonici e gli assi prospettici.

Al piano superiore, nella Sala dell’Arengo, l’allestimento ruota attorno al setto espositivo che ospita il grande affresco del Giudizio Universale di Giovanni da Rimini. Il posizionamento del setto, posto in diagonale e al centro dello spazio, consente una regia di percorso che valorizza la percezione della sala e delle opere. Entrando, si ha una prima lettura del volume nella sua interezza: un grande vuoto, nel quale il setto è percepito come una lama che conduce il visitatore verso la luce naturale delle polifore. Passo dopo passo, lo sguardo scopre le opere esposte, e gradatamente gli si svela l’intera grandezza dello stacco d’affresco. Un espediente museografico che genera il percorso e divide la sala in due ambiti: uno dal lato delle polifore, molto luminoso e funzionale all’esposizione di sculture; l’altro, verso nord, più raccolto e adatto a opere fotografiche e su tela, che hanno bisogno per lo più di luce diffusa.

I supporti espositivi, con spigoli svasati e bordature metalliche che riprendono il bronzo dei serramenti, sono leggeri, quasi bidimensionali, e, opportunamente distanziati, producono il percorso. Architetture sospese, generate da un lavoro di vuoto per pieno, in relazione al contenitore.

Oltre agli interventi allestitivi, in questa sala è stato interamente sostituito il pavimento con un parquet in rovere, lo stesso materiale del grande setto espositivo centrale. Il legno, che ricorda gli assiti al primo piano dei palazzi storici, dialoga con la sequenza di capriate lignee palladiane, concludendo il volume architettonico. La sostituzione dei serramenti, particolarmente complessa, è stata risolta utilizzando un profilo minimo, effetto bronzo, ad altissime prestazioni, che ridisegna le geometrie delle polifere.

Le necessità impiantistiche sono state trasformate in elementi espositivi e d’arredo, progettando un sistema di sedute ed espositori perimetrali che contengono gli impianti meccanici, integrandosi nello spazio, senza interrompere l’equilibrio percettivo della stanza.

In una sala attigua è stato progettato un allestimento semplice e temporaneo, al fine di esporre l’intera Collezione. La sala sarà oggetto di un secondo lotto di lavori volti a rimuovere i tramezzi, l’inter-piano e l’ascensore, che verrà spostato all’esterno. Il volume si riaprirà, per portare alla luce le sue grandi capriate lignee.

Gli arredi del museo, in rovere, lavorano su detrazione materica e sui punti di vista; temi che ritornano nei dettagli degli espositori: svasature, sottrazioni e prospettive che generano un percepibile movimento continuo.

IL PROGETTO ILLUMINOTECNICO

Studiato insieme all’architetto ed esperto di illuminazione museale Alberto Pasetti Bombardella, il piano d’illuminazione risponde a un ragionamento progettuale complessivo che rende complementari le finalità dell’allestimento con l’interpretazione dello spazio attraverso linee direttrici aeree.

Il principio si basa sulla declinazione di un apparecchio realizzato per l’occasione, che permette sia la valorizzazione delle opere che la definizione di scene luminose d’ambiente nelle diverse sale. Il modulo, ingegnerizzato e realizzato artigianalmente da specialisti del settore, denominato ‘Arengo’, offre diverse possibilità di accensioni differenziate, permettendo di personalizzare la luce, attraverso la scelta di diverse tonalità di bianco e di diversi colori.

La struttura di questo modulo lineare a sospensione è costituito da un parallelepipedo a sezione quadra, con un’anima in alluminio che accoglie i diffusori laterali in policarbonato e le sorgenti in sommità per l’illuminazione indiretta.

Mentre nella porzione inferiore è incluso un binario per l’inserimento dei proiettori d’accento sulle singole opere. La composizione del modulo, nella dimensione lineare, può raggiungere 32 metri di lunghezza, come nel caso del Salone dell’Arengo. Ad oggi, la ‘lampada’ più grande mai realizzata nel settore museale.